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Il Coaching è una sana abitudine

In un articolo della Harvard Business Review intitolato "Leadership che porta risultati" David Goleman, lo psicologo e giornalista che ha reso popolare il concetto di intelligenza emotiva, ha suggerito che esistono sei stili di leadership essenziali.


Il coaching è uno di questi e ha dimostrato di avere un "impatto marcatamente positivo" sulle prestazioni, sulla cultura aziendale e sul risultato finale.

Allo stesso tempo, è il meno utilizzato tra gli stili di leadership. Perché?

Secondo Goleman "Molti leader sostengono di non avere il tempo per un lavoro lento e tedioso di insegnare alle persone e aiutarle a crescere."



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Ma di cosa parla il libro?


Personalmente ho trovato utile leggere "Il coaching è una sana abitudine" di Michael Bungay Stanier: fornisce a coach e manager un quadro di riferimento quando si tratta di comunicare con le squadre, offrendo al contempo una sequenza di domande ben definita.


Suggerisce di dare meno consigli e fare più domande: e spiega perché cambiare quest’ abitudine sia sorprendentemente difficile.


"I manager hanno trascorso anni dispensando consigli e ottenendo promozioni... avendo il vantaggio aggiuntivo di mantenere il controllo della conversazione. Quando si pongono delle domande, ci si può sentire meno utili, la conversazione può sembrare più lenta e si può avere l'impressione di aver perso il controllo del dialogo (e in effetti è così, si sta dando potere all’altro)."


L'autore mette anche in evidenza tre principali svantaggi del dirigere invece che coachare le persone: eccesso di dipendenza da parte delle squadre, sentirsi sopraffatti e scollegarsi talvolta da ciò che conta davvero.

Ricordate la regola 20/80 di Pareto? L'80% dei risultati deriva dal 20% delle attività? A mio avviso, il coaching va’ in questa direzione.


Perché leggerlo?


L’autore suggerisce una valida sequenza di domande aperte e valorizzanti che la maggior parte dei manager può utilizzare con le proprie squadre. A partire da domani.

Importante è fare una domanda alla volta. Solo una domanda alla volta.


1. L’apertura: "Cosa hai in mente?" Un modo sicuro per iniziare che rapidamente si trasforma in una conversazione reale. Poiché è aperta e focalizzata allo stesso tempo, invita le persone ad andare al nocciolo del problema concedendo al contempo l'autonomia di scegliere. 2. La Domanda ECO - "E cos'altro?"

Tre paroline che hanno proprietà magiche. Importante però:

  • Rimanere curiosi e autentici

  • Porre la domanda più volte (in genere le persone fanno questa domanda troppe poche volte)

  • "non c'è nient'altro" è la risposta che dovete cercare

  • Passare oltre quando è il momento


3. La Domanda Focalizzata: "Qual è la vera difficoltà qui?"

Concentrarsi sul problema reale, non sul primo problema.

Le persone potrebbero descrivere un sintomo, un problema secondario, un fantasma di un problema precedente…


Formulata in questo modo, la domanda rallenterà le persone, facendole riflettere più a fondo. "Qual è la vera difficoltà per te?" è ancora meglio. Il "Per te" è ciò sposta l’attenzione sulla persona con cui state parlando.


4. La Domanda Fondamentale: “Ma cos’è che vuoi? Assumersi la responsabilità della propria libertà è notoriamente difficile. Questo è ciò che fa nella pratica il coaching: facilita le scelte in modo che le persone allineino ciò che fanno a ciò che sono.


Come fa notare l'autore, questa domanda porta a concentrarsi deliberatamente sul fine prima dei mezzi. Proietta le menti verso l'obiettivo, senza lasciare che il "come" dei passi successivi ci scoraggi.

Il coaching poi deve sempre assicurarsi di esplorare i "perché" dietro a questa domanda: vogliamo essere certi che i motivatori interni siano chiari e soprattutto consapevoli.


5. La Domanda Pigra: "Come posso aiutarti?"

Essere pigri è una buona cosa dopo tutto, suggerisce l'autore.

Si tratta di incoraggiare e far sapere alle persone che ascoltate... e lavorate meno. Personalmente, utilizzo questa domanda per verificare se il coachee si sente abbastanza forte per continuare il percorso che ha scelto. È come dire: "Ehi, sono qui, anche se tu sei perfettamente in grado di progettare un nuovo destino per te stesso".

6. Infine: "Cosa ti è stato più utile?"

Presuppone che la conversazione sia stata utile e fa concentrare la persona su uno o due punti chiave emersi dalla conversazione.


Quando i leader dedicano tempo ed energia a creare conoscenza invece di dare risposte preconfezionate, la capacità di ricordare aumenta: è come se il processo di scoperta viaggiasse attraverso la coscienza della persona.

Suggerire qualcosa ha minori possibilità di trovare la strada nell'ippocampo del cervello, la regione che codifica la memoria.

Un'alternativa che utilizzo nel coaching è "Cosa ti ha aiutato maggiormente?" E "cos'altro?" come consiglia vivamente l’autore. Un semplice ma potente complemento.


Conclusioni


L'autore vuole mostrare i vantaggi per le organizzazioni aziendali di passare da un approccio basato sui consigli ad uno basato sulla curiosità: creando culture aziendali più resilienti e, alla fine, di successo.

Un aspetto del libro che spesso incontro e su cui vorrei commentare: il Coaching delle Prestazioni della persona o della squadra rispetto al Coaching per lo Sviluppo e l’Apprendimento.

Il primo si concentra sulla risoluzione di un problema o di una sfida specifica: importante, necessario e parte delle attività di tutti i giorni.

Il Coaching per lo Sviluppo e l’Apprendimento sposta l’attenzione dal problema alla persona che si occupa del problema: è significativamente più potente. La persona o la squadra è chiamata a crescere, migliorare e svilupparsi invece che a risolvere semplicemente qualcosa.

Quando iniziate a cambiare il vostro comportamento, passando dal dare consigli e fornire soluzioni al fare domande, vi sentirete ansiosi.

Dopo le domande si creeranno pause... un silenzio in cui la persona sta effettivamente pensando e cercando la risposta. Potrete quasi vedere nuove connessioni neurali che si formano. E non vi preoccupate, potete essere molto utili…nel fare buone domande, al momento giusto. Anche senza dare consigli.






 
 
 

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